Il momento che viviamo

«Ora quanto ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva, perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte. Quando diranno: “Pace e sicurezza”, allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta, e non scamperanno affatto». [Tessalonicesi, 5,1-11]

Sono molti i pifferai anti-russi indignati per il fatto che il discorsetto di Zelensky sia stato letto a notte fonda quando, ad ascoltare il Festival di Sanremo, erano rimasti pochi superstiti stremati. Ciò che per lorsignori è motivo di lagnanza, per noi è certo nota di conforto, che non compensa tuttavia una giornata dal bilancio negativo.

Sia la manifestazione nazionale a Sanremo, sia i diversi presidi sotto le sedi regionali della RAI, hanno visto una partecipazione scarsa per non dire peggio. Non esiste e non sembra riesca a prendere il via —malgrado la grande maggioranza degli italiani non condivida l’appoggio sfrontato all’Ucraina—, un movimento di massa contro la guerra. Si mobilitano solo piccole agguerrite minoranze. Un dato, questo, che riguarda tutta l’Europa occidentale, per non parlare degli Stati Uniti.

Alcuni addossano a quelli come noi le colpe per l’assenza di questo movimento di massa contro la guerra. “La vostra linea filo-russa spaventa i cittadini”. Fosse così sarebbe dovuta essere un grande successo proprio la manifestazione di Sanremo, strombazzata ai quattro venti dal cosiddetto “CLN” come “Festival del disarmo” mondiale. Che non sia così lo dimostrano le non meno fiacche manifestazioni di pacifisti del “né con Zelenski né con Putin”. Idem quelle dei sinistrati che condannano “l’aggressione russa”. Né tantomeno (e per fortuna!) riescono le manifestazioni di regime a favore della NATO e dell’Ucraina.

C’è poi chi, scambiando la causa con l’effetto, prova a spiegare l’estrema debolezza del movimento contro la guerra della NATO, con le divisioni di queste minoranze, ciò che porta a pensare che se il frazionamento non ci fosse, avremmo la fine dell’assenteismo politico delle masse. Non che la divisione non conti, tuttavia sono l’isolamento e la prevalente sensazione di solitudine dei gruppi militanti che alimentano la discordia e le reciproche diffidenze.

L’apatia lascia il posto alla protesta popolare non tanto perché qualche minoranza ha predicato ed evocato il risveglio, ma come risultato di rotture sociali profonde ed eventi oggettivi favorevoli. La guerra tra la NATO e la Russia è un evento gigantesco che fa da spartiacque tra un periodo e un altro, ma è un fenomeno che per sua natura non può né aiutare né agevolare la protesta sociale; al contrario! determina una psicologia di massa segnata dall’attesa del peggio che verrà e dal senso d’impotenza. Il timor panico causato dall’Operazione terroristica Covid-19 dovrebbe averci insegnato qualcosa, ed esso è ben poca cosa rispetto allo spavento che suscita il rischio della terza guerra mondiale. Se all’angoscia strisciante aggiungiamo la martellante campagna bellicista delle armate mediatiche di regime è già un “miracolo” che la maggioranza degli italiani, pur assenteista, si dichiari contraria al sostegno armato all’Ucraina.

Provare a trasformare questo disimpegno in impegno, a costruire un movimento per tirare fuori l’Italia dalla guerra collegando la lotta per la pace a tutto il resto: questo è un compito da cui non si scappa.

Verrà il momento nel quale spireranno venti favorevoli e si potrà quindi alzare le vele. Per adesso, pena essere trascinati via dalle correnti, si è costretti a remare. In queste condizioni penose non tutti saranno in grado di resistere. Si produrrà una inevitabile selezione, non tuttavia darwiniana: si salverà chi avrà più intelligenza e più forza, chi dunque saprà leggere le stelle e traccerà la giusta rotta, non piuttosto chi saprà adattarsi all’ambiente — la famigerata “resilienza”. Chi si adatterà ha già perduto in partenza.

(12 febbraio 2023)